Storia S. Cristina

Santa Cristina di Bolsena costituisce una delle più affascinanti figure dell’agiografia cristiana antica.

La Chiesa, da sempre, l’ha distinta con il titolo di Martire; appellativo che ha la forza di racchiudere in sé qualsiasi altro commento sulla breve vicenda terrena di Cristina.

Dare così gioiosamente la propria vita per Cristo e per i fratelli fu subito ritenuto dalla Chiesa, nello spirito del Vangelo, il più grande contrassegno d’Amore, il più alto onore, il più ambito privilegio.

Il testo della “PASSIO” di S. Cristina, risalente al V secolo, quindi molto antico, ci ha tramandato una “vita” della Santa che, salvo piccole varianti, rimarrà inalterata nelle tradizioni successive.

Cristina, figlia di Urbano prefetto della città di Bolsena, all’età di undici anni, dal padre venne chiusa in una torre insieme a dodici ancelle (lo stesso voleva che la figlia rimanesse vergine e si dedicasse completamente al culto degli dei).

Da una fedele ancella, Cristina, conobbe il Vangelo, e si innamorò a tal punto di Cristo da chiedere il Battesimo; subito distrusse gli idoli d’oro posti nella torre e donò i frammenti del prezioso metallo ai poveri della città.

Il padre, scoperta la realtà di cristiana della figlia, divenne il suo più accanito persecutore.

Dopo averla a lungo interrogata la fece chiudere in carcere, percuotere con verghe, distendere su di una ruota infuocata; infine, ordinò che la figlia fosse gettata nel lago con una macina legata al collo.

Miracolosamente, però, Cristina galleggiò sulle acque come un fiore di ninfea usando per barca lo stesso strumento del martirio.

Il padre, nel rivederla, per il dolore e la rabbia morì. Dione, successore di Urbano, continuò a perseguitare la bambina infliggendole altri numerosi tormenti.

Furibondo per la sua impotenza nei confronti della Santa che tutto vinceva con la forza della preghiera, la fece trascinare al tempio di Apollo per obbligarla a venerare la divinità; alle ferventi preghiere di Cristina la statua del dio scese dal piedistallo infrangendosi al suolo, uccidendo con una scheggia il folle Dione.

Gli successe il prefetto Giuliano che condannò la fanciulla ad essere uccisa dal morso di serpi velenose, ma queste non toccarono il suo corpo e si accanirono contro il Marso incantatore, uccidendolo.

Giuliano, allora, la fece immergere in una fornace, ma le fiamme non consumarono il corpo della Santa; disperato per l’ennesima sconfitta, Giuliano fece condurre la fanciulla nell’anfiteatro, dove, dopo averle reciso le mammelle e la lingua, fu fatta bersaglio di un nugolo di frecce.

Così Cristina passò dalla terra al ciclo il 24 luglio di un anno imprecisato, agli inizi del IV secolo, durante l’ultima persecuzione di Diocleziano.

Sepolta nelle locali catacombe, divenne subito l’oggetto della tenera devozione dei suoi concittadini e la fama del suo martirio dilagò in tutta la cristianità.

All’inizio del 1099 parte del suo corpo giunse a Sepino in seguito al trafugamento perpetuato da due pellegrini francesi nell’antica catacomba di Bolsena.

I resti della Santa rimasero nella nostra città fino al 1160, quando furono donati alla Cattedrale di Palermo.

A Sepino è rimasto un frammento del braccio, in segno di protezione sulla comunità.

Prof. Marcello Moscini


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