Anno 1844

Un anno particolarmente difficile per tanti “indigenti”: l’agricoltura ha dato e dà scarsi raccolti ed il lavoro manca. Per far fronte a questa situazione ci si muove con nuove iniziative e forti decisioni. Per primi sono l’Arciprete ed i Parroci.

In febbraio inviano direttamente al Re la seguente missiva:
Noi qui sottoscritti Arciprete e Parroci di questa Città … ci crediamo nel sacro dovere di dipingere con patetici ed interessanti colori un quadro espressivo di troppo ed oltremodo commovente come quello che umilmente dispiega davanti al beneficentissimo occhio della Maestà Vostra l’infelicissimo stato attuale dei nostri filiani.

Questi tutte nel presente tempo risentono le infelici conseguenze derivanti da un coacervo di successive agronomiche sciagure, che sono state le cause distruttive di sudori a copie versati dalle di loro faticose fronti. Lo spaventevole uragano del 23 settembre 1841 portò via estraripanti copiose acque il territorio vegetabile primo necessario alimento per un ricolto atto a compensare le fatiche dei Coloni. Fu questa la prima sfortunata causa, che incominciò a far retrogradare l’industria qui predominante, quella cioè dell’agricoltura per essersi sterilita buona parte di queste contrade, e per essere stata altra parte ricoverta di pietre e per la furia di strabocchevoli inondazioni.

Tanti mali non eran forse bastevoli a punire questo popolo, e per disposizione di chi stringe in pugno la vita, e la morte, quel modico ricolto, che aspettavasi nel caduto anno 1843 da una stentata vegetazione è stato interamente distrutto per la mancanza delle benefiche acque celesti, delle quali non ci ha creduto farci degni la Divina Provvidenza, che tutti in vece ha fatto sentire a questi abitanti di affannosa siccità. Deperite, quindi, per tre anni successivi tre consecutive raccolte, vediamo in queste contrade, che formarono in altro tempo la floridezza dei Pentri lo squallore, la miseria, la fame e fra poco la morte istessa, che mieterà indistintamente le vite degli Uomini nella più orribile guisa. Ci si para continuamente dinnanzi un tetro spettacolo, un corso incessante di miseria, e le case di tutti sono divenute uno squallido soggiorno di dolori.

I mendici, di professione diventati ora il minor numero, confusi di una sempre crescente moltitudine, constrastavano i scarsi proventi dell’altrui beneficenze con quelli dai quali avevano in miglior tempo ricevuto il pane della carità. Contenti tutti del solo vitto offrono con prontezza le braccia alle fatiche delle persone che credono agiate. Ma queste, perchè sentono i svantaggi comuni, si veggono nella dura posizione di preterire i tanti necessari lavori, badando a vivere piuttosto che a coltivare gli abbandonati poderi. La diligente condotta in tale tristissima emergenza spiegata da questa Amministazione, ha procurato un pubblico travaglio, che per la brevità della somma da spendersi in poche centinaia farà sentire de’ vantaggi brevissimi, e che svaniranno ben presto, come fuggono i fuochi fatui fra le oscurità della notte. In tanta e sì immensa disparità tra il sussidio ed il bisogno, noi, che siamo interpreti della comune volontà, ci crediamo costituiti nel sacro dovere di escogitare dei mezzi, onde rendere in certo modo durevole il pubblico bene derivante dall’incominciato lavoro. E nella speranza di vedere realizzati i comuni desideri, ci rivolgiamo con fervide divotissime suppliche alla Vostra Sacra Real Maestà.

Quindi nel voto di rifuggiare all’ombra della Sovrana Beneficenza questo popolo desolato, imploriamo il condono, per un anno almeno, delle spese Provinciali, che debbonsi versare in mezzo a tanta deplorevole miseria da questa cassa comunale a quella centrale della Provincia, ed invertirsi questo fondo al presieguo della traversa comunale, come unico ed esclusivo lavoro che ammette numerose braccia e che possa dare un sollievo a questi disgraziati nostri filiani. Questi nel vedersi provveduti di pane, e sottratti al desolante flagello della morte, non cesseranno di umiliare caldi preghi all’Altissimo perchè si benignasse di concedere lunga vita, con tutte le prosperità alla Vostra sacra Real Maestà, di cui ci professiamo i più fedeli e divoti sudditi …

(ASC – Intendenza Molise – b. 865 – f. 20)